Autosprint

All'inferno (il) ritorno

All'inferno (il) ritorno

19 mag 2010

Metterci del cuore a volte non basta. Ci vuole altro per rientrare in F.1, altrimenti è meglio starsene a casa, ricordando i bei tempi andati, osservando i propri trofei, godendosi il conto in banca se la crisi non lo ha scialacquato, divertirsi per quanto è possibile e allontanarsi dalla tentazione del ritorno. Soprattutto al giorno d’oggi dove i parametri sono differenti dall’ieri, dove il peso dell’età si fa sentire nei tempi di reazione, nel colpo d’occhio, nell’istinto di sopravvivenza, nella domanda che forse ci si pone. Molti si stanno chiedendo quanto convenga a Michael Schumacher rischiare la fi guraccia. A leggere le critiche impietose che lo riguardano sembra che nel breve volgere di 4 Gp, il 7 volte iridato abbia messo in naftalina la propria reputazione. Ciò che è stato non conta più, tutti lo attendevano al varco e tutti ne scrivono peste e corna, a volte esagerando. Lui non è più quello d’un tempo ma se ci si fate caso spunti improvvisi di una classe in sonnolenza ma ancora strisciante ogni tanto s’intravedono: chiedere a Hamilton le due, tre mosse che il kaiser gli ha fatto prima di capitolare alla migliore forma della McLaren e alla maggiore cattiveria del suo giovane erede. I conti, però, si fanno sempre alla fine, 4 gare significano zero assoluto, chi gode oggi dovrà godere quando la bandiera a scacchi dell’ultimo Gp verrà sventolata e solo allora si potrà criticare un campione che ha avuto il coraggio, se non altro, di metterci faccia e cuore. Schumi non è patetico alla guida della Mercedes: le prende da Rosberg - che non è l’ultimo degli arrivati - e ci sta ma in pochi sanno cosa significa restare fuori dal giro. Gli allenamenti in kart possono essere utili per il fisico, le scorribande con le superbike insegnarti un altro modo per affrontare le curve, ma tre anni pieni senza una F.1 sotto la zona nobile equivalgono a tre campionati di serie A saltati da un giocatore. Aggiungiamo le monoposto cambiate, più pesanti, con un’altra aerodinamica, lo smarrimento nel non trovarsi a proprio agio, nel non possedere la sicurezza di attaccare le curve come si è sempre fatto, la ricerca di messa a punto personalizzata. Schumi ha bisogno di una vettura da non condividere con altri sul fronte delle sensazioni. Rigida come una panca. Ha già richiesto modifiche alle sospensioni e se Ross Brawn lo asseconderà allora le cose di oggi potrebbero cambiare. Non è che poi la storia ci abbia tramandato ritorni clamorosi: i casi di Prost e Lauda erano diversi. Il primo smise prima di Adelaide 1991, provò nel ‘92 una Ligier, poi rientrò nel ‘93 con una vettura talmente forte e senza avere perduto troppo nei 12 mesi di assenza da non far gridare nemmeno al clamore. Il professore era tornato con tutte le condizioni ideali per cogliere il 4° titolo mondiale. Di fronte si trovava uno squadrone McLaren dimezzato e senza un motorecompetitivo, ovverol’evoluzionefinaledell’8 cilindri Ford Cosworth che solo Ayrton Senna riuscì a portare all’eccellenza assoluta e che fece tramontare in pochi mesi le speranze di affermazione di Michael Andretti e intravedere nelle ultime corse le potenzialità di Mika Hakkinen.
Come compagno di squadra Alain godeva della comodità di Damon Hill, fino ad allora “Carneade” delle formule minori, un decoroso pilota di F.3 e F.3000, la cui esperienza in F.1 era quantificata da 8 partecipazioni ai Gp del 1992 al volante della pessima Brabham-Judd, con 6 non qualificazioni, un 16° posto al Gp di Silverstone e un 11° in quello ungherese, entrambi con 4 giri dal vincitore. Certo Damon girava e rigirava con la Williams per mettere a posto le sospensioni attive ma era chiaro che la situazione di Prost in squadra fosse molto ma molto tranquilla. Eppure il professore faticò più del previsto per agguantare il titolo, vincendo sì 7 corse, ma riuscendo a fare entrare nella leggenda Senna con le bastonate prese a Donington, Monaco e persino a Silverstone, dove pur vincendo il 50° Gp della carriera rischiò nelle prime tornate di essere ridicolizzato da una monoposto molto più scarsa di cavalli della sua. Senza la Williams si sarebbe attirato critiche a non finire. Il caso di Schumi, però, è assai più simile a quello di Lauda. L’austriaco aveva abbandonato a fine 1979 e rientrò nel 1982. Vinse alla terza corsa, a Long Beach, ma nulla di particolare gli si domandò da parte della McLaren , con la quale collezionò un’altra vittoria a Brands Hatch in uno degli anni più assurdi e tragici della F.1. Per la cronaca in qualifica Niki conquistò la prima fila con il 2° tempo a Long Beach, ottenendo due quarti, tre quinti, un 8° a Hockenheim, dove non corse per un incidente in qualifica, e poi una lunga serie di file centrali degli schieramenti. Il vero Lauda, macinatore di km ed avversari, lo si rivide solo nel 1984, quando beffò per mezzo punto Prost nella corsa al mondiale, compiendo un’impresa rimasta ancora oggi nella leggenda. Schumi ha sempre sostenuto di avere programmato due stagioni piene per poter lottare per il campionato. Lauda ne impiegò tre, uno di assaggio, il secondo di transizione per l’arrivo del motore Tag-Porsche a partire dal Gp d’Olanda del 1983, e il terzo per raggiungere lo scopo. Rispetto a Schumacher va dato atto all’austriaco di aver quasi sempre messo dietro in qualifica il compagno di team, John Watson, vincitore nel 1982 dei Gp del Belgio e Detroit , solo in 4 occasioni tra i primi 10 delle prove e mai in prima o seconda fila. La storia della F.1 è sufficientemente avara di rientri improvvisi di campioni del mondo in carica. Ci sono stati piloti fermi in modo forzato a causa di incidenti. Juan Manuel Fangio, per esempio, fresco campione del 1951 con l’Alfa Romeo prossima al ritiro dalle competizioni; l’anno dopo l’argentino si allenò vincendo sei corse di formula libera in Sudamerica prima di tornare in Europa per correre con la Maserati: ma a Monza distrusse l’automobile finendo anzi tempo una stagione che doveva ancora iniziare. Si rivide nel 1953 e si sa come andò a finire. Si trattava, comunque, di un pilota allenato, preparato, non di uno che aveva deciso di appendere il casco al chiodo. Stessa cosa per Mario Andretti con i suoi numerosi andirivieni dal pianeta Usa al mondiale. Nel 1982 venne convocato prima da Frank Williams a Long Beach, poi dalla Ferrari dopo l’incidente di Pironi per concludere quella stagione travagliata. A Monza conquistò la pole e un 3° posto; si ritirò a Las Vegas in quella che per le statistiche è stata la sua ultima esperienza con la F.1. D’altronde Mario era aduso alla toccata e fuga nel mondiale fin dagli esordi: due corse nel 1968, con la pole position a Watkins Glen, tre nel 1969, 5 nel 1970 con la March sponsorizzata dal finanziatore storico delle sue imprese in F.Usac Stp, 7 con la Ferrari nel 1971, vittoria a Kyalami replicata nella gara non valida per il campionato, il Gp Questor ad Ontario, 5 sempre con la Ferrari nel 1972, due con la Parnelli nel 1974 da dove poi iniziò una carriera costante fino all’iride del1978 con la Lotus. Simile ma non identica all’esperienza di Schumi fu quella di Alan Jones, il campione del 1980 che dopo aver concluso la carriera nel 1981, riprovò nel 1983 con Arrows nella Corsa dei Campioni, non valida, ottenendo un 3° posto e a Long Beach del 1983, qualificandosi 12° e ritirandosi perché ingrassato oltremodo e per niente a suo agio nello stretto abitacolo della A6 a motore Cosworth. Ma attenzione nonostante la volontà di smettere, il robusto Alan nella realtà aveva gareggiato con la Porsche in Australia; la sua carriera, pur avendo intrapreso altre traiettorie meno professionali, non si era per davvero mai conclusa. In F.1 il campione duro, coriaceo, dotato di bello stile rientrò nel 1985, dopo le insistenze di Carl Hass che avrebbe gestito il ritorno in grande stile della Ford nella serie iridata. Jones, ancora più robusto di un tempo, si calò nell’abitacolo della Lola nelle ultime 4 corse della stagione. Bisognava mettere a punto il telaio, visto che la squadra ancora disponeva del poco competitivo 4 cilindri Brian Hart e rodare lo staff. Jones non vide mai il traguardo, non prese il via in Sudafrica, nonostante avesse ottenuto la migliore qualifica con il…18° tempo ma…su 21. Nel 1986, archiviato il Gp inaugurale del Brasile ancora con il motore Hart, il progetto Lola-Ford debuttò a Jerez.
Apparve subito chiaro che non esistevano grandi potenzialità né sul fronte del telaio della Lola né su quelle del propulsore, un 6 cilindri sovralimentato lontano dalle potenze dei migliori. Il campione del mondo ‘79 non riuscì mai a vedere le prime file: la migliore esibizione in prova fu un 10° all’Hugaroring, per il resto navigò tra il 13° di Spa e il 21° di Imola. Gli andò meglio in corsa per eventi fortunati: a Zeltweg giunse 4° a 2 giri di distacco e la frizione ko, a Monza 6° sempre con due tornate sul groppone. Alan concluse quel calvario a casa sua, in Australia, con l’ultimo ritiro della carriera in monoposto ad Adelaide dopo essere stato 15° in qualifica. E che dire di Jacques Villeneuve al quale la scelta distruttiva della Bar ha rovinato di fatto tutto ciò che di buono aveva mostrato nel 1996 e nell’anno del titolo, il 1997? Finita l’esperienza, Villeneuve ha cercato di allontanarsi dalla F.1. Ma poi ci è ricascato e avrebbe fatto meglio a restarsene a casa. Nel 2003 venne appiedato alla vigilia del Gp del Giappone. Restò quasi un anno senza corse, per rischiare la reputazione nelle ultime tre gare del 2004 con la Renault lasciata libera da Jarno Trulli. Contro aveva Fernandino Alonso e la lezione impartitagli fu niente male. Finito alla Sauber nel 2005 ci rimase fino al Gp Germania 2006 per essere poi messo alla porta a favore di Robert Kubica. Nel corso di quei quasi 2 anni Jacques non andò oltre a un 4° posto a Imola 2005. E qui si torna al bistrattato Schumi che può vantarsi per davvero della propria inattività agonistica lunga 3 anni pieni per far capire che essere stati assi significa poco o nulla. L’assenza si paga, sempre. Accadde persino a Nigel Mansell di non essere più lo stesso di un tempo nel 1994, fresco di titolo di F.Indy 1993 ma a digiuno di F.1, quando venne chiamato in fretta e furia da Frank Williams sulla FW15-Renault in alternanza con David Coulthard. Mansell vinse l’ultima corsa dell’anno ad Adelaide nel giorno del primo iride del kaiser. L’anno dopo Ron Dennis gli offrì la McLaren recalcitrante con un sacco di problemi. Pur di non prestarsi a una pessima figura, Nigel saltò le prime corse per Mark Blundell che in teoria avrebbe dovuto essere terzo pilota. Che conquistò un punto nella prima gara, a Interlagos, si ritirò a Buenos Aires per poi lasciare la monoposto a Mansell a Imola e a Barcellona: al debutto fu 9° in qualifica e 10° in corsa. In Spagna 10° in prova e out in gara. Per la cronaca Mika Hakkinen, ormai acclamata prima guida del team di Woking, con la stessa MP4/10 scattò 6° a Imola, dove giunse 5°, e 9° in Spagna, dove poi imitò Nigel ritirandosi per la rottura dell’ancora “immaturo” 10 cilindri Mercedes-Ilmor. Dopo di allora Mansell non volle più saperne di F.1 ma nessuno ebbe il coraggio di infamarlo. Insomma: occorre riportare tutto su un piano di onesta oggettività. Intanto il kaiser medita, ragiona, osserva: dalla F.1 è stato estromesso per scelte aziendali e non per volontà intima. Ora ci è rientrato e sta correndo non solo contro gli altri ma anche contro quel tempo che sembra essersi volatilizzato. Sembra e forse non è, perché se Schumi insiste, state sicuri che qualche sorpresa sa di poterla regalare ancora. I famosi conti che andranno fatti alla fine del 2010.

Iscriviti alla newsletter

Le notizie più importanti, tutte le settimane, gratis nella tua mail

Premendo il tasto “Iscriviti ora” dichiaro di aver letto la nostra Privacy Policy e di accettare le Condizioni Generali di Utilizzo dei Siti e di Vendita.

Commenti

Loading

NASCAR: a Darlington Hamlin mette subito la seconda

Byron domina ma Hamlin vince a Darlington con una super sosta finale. Toyota davanti, mentre il leader del campionato resta Byron

Autodromo di Imola protagonista del Made in Italy e della diplomazia sportiva italiana

Un milione di visitatori attesi già nel 2025 con un impatto economico da un miliardo di euro
Autosprint
Autosprint
Autosprint

Insieme per passione

Abbonati all’edizione digitale e leggi la rivista, gli arretrati e i contenuti multimediali su tutti i tuoi dispositivi.

Abbonati a partire da 21,90

Abbonati

Sei già abbonato?Accedi e leggi