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L'anno del drago

L'anno del drago

20 mag 2010

Non doveva essere facile pensare all’amore in quegli anni. Eppure Egide e Pierin erano una coppia felice e nonostante il mondo stesse correndo rapidamente verso la catastrofe volevano un bambino. Nacque mercoledì 27 marzo 1940 e lo chiamarono Alessandro, poi divenuto Sandro. Erano tempi duri, tempi di guerra, ma c’era chi trovava lo stesso la forza di continuare a vivere, a immaginare un futuro. Charlie Chaplin realizzava Il grande dittatore, Walt Disney mandava sugli schermi il suo Pinocchio, Dino Buzzati pubblicava Il deserto dei tartari. E mentre l’Italia dichiarava guerra a Francia e Gran Bretagna e si consumavano la guerra lampo e la battaglia aerea d’Inghilterra, nel Polesine la vita continuava a scorrere con lento metabolismo contadino. Sandro cresceva nella cascina di Cavarzere dove erano nati sia lui che sua sorella Vally, di due anni più grande, e aspettava un regalo che però non ricevette mai: un’automobilina a pedali.

Ebbe, invece, Marco, un asinello che attaccò a un calesse e quello fu il suo primo mezzo di locomozione. Sarebbe passato, da lì a qualche anno, ai cavalli, tanti e tutti insieme, ma allora non poteva saperlo. Intanto cresceva felice e spensierato e la sua vita si avvicinava velocemente all’appuntamento che l’avrebbe cambiata, la Mille Miglia. Aveva sette anni quando papà Pierin lo portò a Rovigo per vedere il passaggio notturno della “grande corsa”. Quella magia, i fari che bucavano l’oscurità, le ombre, l’urlo dei motori, gli odori di gomme, freni, olio, mescolati a quelli della notte, entrarono dentro a Sandro e non ne uscirono mai più.

Appena fu possibile, si mise al volante della Fiat 1100 Tv bicolore di papà, terrorizzando le donne del paese e quanti avevano l’avventura di incrociarlo nei suoi primi passi al volante di un’automobile. Passati gli anni dell’infanzia Sandro notò su una rivista un servizio sui go-kart e da lì a decidere di costruirne uno il passo fu breve. Un po’ meno breve riuscire a metterlo con le ruote per terra ma finalmente il bolide fu pronto e Sandro potè schierarsi per la prima corsa della sua vita. Ovviamente a Cavarzere, circuito cittadino.

CAVALLARI E ANGIOLINI


Normalmente non sappiamo se un incontro sarà importante nella nostra vita oppure no. E non lo sapeva neppure Sandro quando in una gara di kart ad Adria conobbe - e sconfisse - Arnaldo Cavallari, uno che nei rally aveva già mostrato di saperci fare. E che lo chiamò, pochi mesi dopo, per chiedergli se voleva sostituire il suo navigatore, che si era ammalato. Era tutta una scusa, probabilmente, perché “Arnaldone” fece anche guidare Sandro, evidentemente per osservarlo, spiarne i gesti. La storia era cominciata. Vennero gare insieme, la prima vittoria in coppia, al Rally di Sardegna del ‘64, e finalmente la prima grande occasione: guidare l’Alfa Gta ufficiale al Rally Jolly Hotels 1965, in equipaggio ovviamente con Cavallari e la benedizione di Mario Angiolini, nume tutelare della scuderia Jolly Club. Sandro però, per l’emozione, disse che non se la sentiva di pilotare e chiese di limitarsi a fare il navigatore. Temette che la sua carriera fosse finita ancor prima di iniziare. Ma Angiolini, che aveva capito, non mollò la presa.

E inserì Sandro nella rosa degli equipaggi che avrebbero rappresentato la Lancia al Rally di Finlandia valido per la Coppa delle Nazioni. E fu così che iniziò l’avventura di Sandro Munari: al volante di una Lancia ufficiale al Rally 1000 Laghi. Mica male per un debuttante no? Al di là del pur buon risultato ottenuto, 43esimo assoluto, Munari si segnalò per gli ottimi tempi fatti segnare. «Se dovessimo avere bisogno di te saresti libero?», gli chiese il diesse della Lancia, anche lui all’inizio della carriera: Cesare Fiorio.

LA TELEFONATA DI FIORIO



La telefonata arrivò, ed era per partecipare al Rally di Montecarlo del ‘66 con una Flavia Coupé, in coppia con il belga George Harris, con le note in francese. Erano ottavi alla fine del percorso comune, a un minuto da Pauli Toivonen, che poi vinse per la famosa squalifica delle Mini Cooper. Munari avrebbe potuto terminare secondo il primo Montecarlo cui partecipò ma la sua Lancia si ruppe. E così dovette attendere fino al ‘72 per gustare il sapore della vittoria. In mezzo, il trionfo al Tour de Corse ‘67, quello che egli stesso considera “la madre di tutte le vittorie”, davanti a tutti i migliori piloti e squadre ufficiali dell’epoca, e il dramma che costò la vita al suo navigatore Luciano Lombardini nel trasferimento del Montecarlo ‘68, in Jugoslavia. Due avvenimenti, il Tour ‘67 e il Monte ‘68, molto vicini fra loro a livello temporale eppure distantissimi, che videro Sandro passare dalla gioia incontenibile alla disperazione per la scomparsa dell’amico fraterno, dopo aver lottato lui stesso per non morire. Tutti questi accadimenti devono aver sicuramente contribuito a forgiare il carattere del giovanotto di Cavarzere, che si trovò pronto all’appuntamento che lo avrebbe consegnato alla storia dei rally.

IL MONTE E LA FULVIETTA


Il cartello recante la scritta «I signori giornalisti sono pregati di non utilizzare i termini armata, muta, flottiglia a proposito degli equipaggi Alpine Renault» è appeso alla porta della sala stampa del Monte 1972. Davvero, a volte, i francesi sanno essere fastidiosi. E quella volta lì erano talmente sicuri non solo di vincere ma di dominare, da sentire il bisogno di chiedere ai giornalisti di non esagerare con i toni trionfalistici alla fine del Monte che sentivano di avere in tasca. Peccato che la “lezione” ricevuta in Corsica nel ‘67 se la fossero già dimenticata. E mentre tenevano d’occhio le Porsche di Waldegaard e Larrousse, non si rendevano conto che la Fulvietta del Drago poteva diventare una spina nel fianco della loro “Invincibile armada”. Cosa che puntualmente si verificò, mentre le basse e leggere A110 cominciavano a fare i conti con una meccanica fragile e le Porsche si inchinavano alla Lancia. Che volava sul ghiaccio grazie al manico del suo pilota e a una scelta di gomme per la prova di Pont des Miolans, metà asciutta metà ghiacciata, che pareva un suicidio e che invece si rivelò decisiva: pochi chiodi poco sporgenti. Fu la svolta. Il Monte sorrise a Munari-Mannucci e alla Lancia. Un anno prima che venisse istituito il Mondiale Rally iniziava una nuova era, quella della Lancia e di Munari, che il Monte lo vinceranno insieme ben quattro volte..

LA BÊTE À GAGNER

Enzo Ferrari ha già messo gli occhi addosso a Sandro. E quando si tratta di fornire un motore per la Lancia da rally che Piero Gobbato sta progettando, sorprendendo tutti dice sì. Ha in mente un piano, il Commendatore. Vuole Munari per la Targa Florio e per Le Mans, così acconsente alla fornitura del Dino 6 cilindri per la nascitura erede della Fulvia a patto che... La trattativa, ovviamente, va in porto. Munari vince la Targa ‘72 in coppia con Arturo Merzario sulla Ferrari 312P e nell’ottobre dello stesso anno la Stratos a motore Ferrari muove i primi passi. Che non sono facili. Si manifestano grossi problemi di assetto, con la vettura che serpeggia e fatica a mettere a terra i tanti cavalli del 6 cilindri Dino Ferrari. Il debutto al Tour de Corse non è dei più felici, ma Fiorio e Munari (e Gobbato, Parkes e tutti quelli della Hf Squadra Corse) non sono tipi da arrendersi tanto facilmente. Lavorano sodo e anche grazie a un’intuizione del Drago capiscono che il problema risiede nei mozzi-ruota, insufficientemente rigidi.

Trovato il bandolo della matassa, nell’aprile del ‘73 arriva il primo successo della vettura e del suo pilota, al Rally Firestone, in Spagna. È il primo di una lunga serie, che comprende il trionfo nel Tour de France ‘73 e porta la Lancia a tre titoli Costruttori, ‘74, ‘75,’76, e il Drago alla conquista della Coppa Fia ‘77, il primo iride Piloti della storia. Ma è il ‘76 l’anno del vero trionfo, anche se il Mondiale Piloti ancora non esiste. In quell’anno infatti, contro Munari e la Stratos non c’è niente da fare. Sembra una lotta fra un’astronave con ai comandi un marziano e un cammello portato da un beduino. Il ragazzo di Cavarzere ormai è diventato un uomo e ha vinto tutto quello che c’era da vincere. Tutto o quasi.

LA MALEDIZIONE DEL SAFARI


Lui, testardo, non smette di provarci e nonostante le beffe che il destino continua a riservargli va avanti ad inseguire il suo sogno. Sorta di moderno capitano Achab che insegue la sua Moby Dick, il Drago insegue sulle piste della savana fino al 1984 la vittoria che non arriverà mai all’East African Safari. Clamorosa quella mancata nel ‘74 con la Fulvia ormai prossima alla pensione e già rimpiazzata nelle altre gare dalla Stratos. Per una serie incredibile di disavventure che sembravano veramente propiziate da uno stregone Munari è solo terzo. Peggio ancora nel ‘75, alla prima partecipazione della Stratos nell’inferno africano, quando tre forature e la contemporanea mancanza dell’assistenza aerea e quindi del ponte radio necessario per avvisare i meccanici a terra, mettono fuori gioco il Drago quando ha 56 minuti di vantaggio. Il secondo posto è un brodino che non può certamente soddisfarlo. Ma tant’è. E la vittoria non arriverà mai anche se queste due edizioni, nella mente e nell’animo del campione di Cavarzere, sono sue. Semplicemente, non c’è il nome nell’albo d’oro ma non è questo quello che conta.

E POI VIENE LA FINE


Quando parte il Rally di Montecarlo 1979 - il primo nel quale Munari non è al via dopo tredici anni di presenze continue, interrotte solo dall’annullamento dell’edizione ‘74 a causa della crisi energetica - il Drago sputa fuoco e fiamme. Vaga tra le stanze del suo appartamento bolognese come una belva in gabbia, si sente perduto. È davvero dura non essere in macchina, a lottare per vincere il quinto Montecarlo. Anche perché ne avrebbe, ne ha, ancora tutte le possibilità. Ma ha preferito smettere quando era al top, dire basta da vincente. Le partecipazioni al Safari gli servono come antidoto al “morbo” delle corse, come cura disintossicante. Ma riuscire a mettere la parola fine quando si è sulla cresta dell’onda è davvero difficile. Come hanno dimostrato in tanti, Michael Schumacher per ultimo in ordine di tempo. Anche in questo sta la grandezza di “nonno” Sandro, il ragazzo della bassa polesana che ha esaltato la Lancia, il rallismo italiano e se stesso. E che a 70 anni, con un volante tra le mani, mette ancora soggezione a tanti.

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