Inizio shock ma Tyrrell lo preparò... per Ferrari
Jody Scheckter ha attraversato tre fasi differenti della propria carriera di pilota. Nella prima si presentò in Europa in modo quasi prepotente. Era velocissimo, istintivo, capace di rischiare il tutto e per tutto senza pensarci troppo. Fenomeno in Formula Ford, versatile, in Sudafrica aveva conquistato il campionato Turismo. Poco costante in Formula 3, debutta giovanissimo nell’Europeo di Formula 2 con la McLaren, nel 1972. La monoposto non è una macchina da guerra ma il silenzioso Jody vince il London Trophy a Crystal Palace e nella stessa stagione L’orso iridato debutta a 22 anni in F.1 a Watkins Glen, con la McLaren M19, e arriva nono. È forte; nel 1973 non prende punti nelle cinque corse disputate in F.1 (parte due volte in prima fi la) ma conquista il titolo nella Formula 5000 statunitense; combina un patatrac al Gp di Gran Bretagna, innescando un incidente che costerà indirettamente la carriera ad Andrea de Adamich e viene messo fuori squadra. Rientra al Gp del Canada, dove è ancora coinvolto in un incidente, con François Cévert. È il pilota dal quale tutti stanno alla larga. La sua fortuna si chiama Ken Tyrrell, che lo ingaggia nel 1974 come prima guida. Jody inizia così la seconda fase della carriera. Ammorbidisce a poco a poco la propria condotta di guida, inizia a capire che le corse si vincono anche con la tattica.
Dal 1974 al 1976 il sodalizio con il Boscaiolo porterà a Scheckter le vittorie nei Gran Premi di Svezia e Gran Bretagna del 1974, con relativo terzo posto nel Mondiale, il Gran Premio del Sudafrica del 1975 e ancora la leggendaria affermazione in Svezia nel 1976 al volante della Tyrrell P34 a sei ruote. Alla conclusione di quella stagione è nuovamente al terzo posto nel Mondiale. Poi viene ingaggiato da Walter Wolf per il 1977: vince al debutto in Argentina, si ripete a Montecarlo e in Canada, diventa vice campione del mondo. È ormai diventato un pilota affi dabile. Così, quando arriva alla Ferrari nel 1979, Scheckter entra nella terza fase della sua breve carriera: ormai il suo stile è cambiato. Resta effi cace nelle prestazioni ma a queste aggiunge l’intelligenza di studiare gli avversari e di comprendere i momenti giusti per portare gli attacchi, nei quali Jody continua a essere un maestro. È diventato anche un ottimo collaudatore, dotato di una sensibilità meccanica non comune. È al culmine della propria parabola. Quando, a fi ne 1980, decide di scenderne, chiude un periodo della sua vita. Ha guadagnato, si è divertito, ha vinto. Ora Jody a 30 anni è maturo per affrontare la vita reale.
Dopo l’iride è il tramonto
Jody Scheckter appartiene a quella categoria non troppo affollata di piloti che dopo avere conquistato il campionato del mondo non sono più riusciti a esprimersi ai livelli abituali. È un fatto strano, psicologico. Il tramonto di un campione è qualcosa di progressivo, non di repentino come è accaduto al sudafricano nel 1980. Eppure, il ragazzino che aveva terrorizzato l’intera Formula 1 all’epoca del debutto, con la McLaren del team Yardley, per la condotta fi n troppo spregiudicata e per uno stile aggressivo, subito dopo avere vinto il mondiale del 1979 ha perduto interamente le proprie motivazioni. In questo, gli va dato atto, è stato aiutato dallo scarsissimo livello di competitività dimostrato dalla Ferrari 312 T5 del 1980, le prestazioni dello stesso Gilles Villeneuve in quell’anno lo dimostrano, ma da un iridato i tifosi delle Rosse si attendevano molto di più. Scheckter è sempre stato un tipo particolare, uno che non ha mai pensato di fare il pilota per tutta la vita ma di impegnarsi in una serie di attività che lo hanno presto portato a diventare un importante businessman a livello internazionale, anche nel settore delle tecnologie per armamenti. E dire che nella storia della Ferrari il sudafricano, fi no ad oggi l’unico campione mondiale di quella nazione, occupa un posto importante anche per le statistiche, essendo stato l’ultimo iridato del Cavallino prima della trionfale epoca di Michael Schumacher. A Maranello Scheckter arrivò per far coppia con Gilles Villeneuve. Il suo passato, lo ripetiamo, era quello di un pilota velocissimo, sempre pronto al rischio. Il suo presente, invece, lo vedeva stabile protagonista dei campionati e autore di una strepitosa stagione 1977 al volante della esordiente Wolf-Cosworth con la quale aveva vinto al debutto del team in Argentina - come la Brawn in Australia nel 2009 - giungendo alla fi ne in seconda posizione dietro alla Lotus di Mario Andretti nel Mondiale. Jody era un duro in pista ma con il tempo aveva imparato a saper gestire le situazioni. Il mondiale del 1979 ne fu la riprova: Villeneuve era l’uomo spesso più veloce della squadra ma i risultati arrivavano dal sudafricano, che vinse in sequenza a Zolder e quindi a Montecarlo, raccogliendo punti preziosi un po’ ovunque. Il momento tanto atteso giunse a Monza, in un’indimenticale giornata calda e soleggiata. Scheckter conquistò in qualifi ca il terzo tempo dietro alle Renault di Jabouille e di Arnoux e davanti alla Williams di Jones. La gara fu tirata, emozionante. Jones venne subito riassorbito dal gruppo dopo una partenza infelice e fu costretto a rimontare. Le Renault ruppero il motore dopo un inizio velocissimo, mentre Scheckter e Villeneuve riuscirono a spezzare il ritmo degli altri, con il canadese che faceva da elastico per proteggere il sudafricano. Fu la terza vittoria per Jody con la Ferrari e fu campionato del Mondo. Poi arrivò la stagione 1980: la Ferrari disattese le speranze. Williams, Brabham, Ligier e Renault apparvero troppo superiori all’ormai antiquata monoposto di Maranello. Gli unici punti di Scheckter giunsero dal quinto posto di Long Beach, a un giro dal vincitore Nelson Piquet e da Riccardo Patrese. Poi le sempre maggiori diffi coltà della vettura, la deludente mancata qualifi cazione al Gp del Canada, e la decisione di abbandonare le corse a fine anno.
Non aveva in testa solamente la Formula1
Lo chiamavano “l’orso” perché parlava a monosillabi, se ne stava spesso per conto suo e non riscuoteva molte simpatie nell’ambiente. Jody Scheckter era un anti personaggio per eccellenza. A livello caratteriale, almeno nei primi tempi, poteva essere assimilato a piloti come Hulme o Jones, gente poco ciarliera che badava a svolgere la propria professione. Ma Jody aveva qualcosa in più di quasi tutti. Una visione di vita molto diversa: lo sport per lui era un’occasione di divertimento, doveva signifi care una fase esistenziale per crescere come uomo, nelle conoscenze, per mettersi alla prova. Oltre a questo c’era dell’altro, la prospettiva di un lavoro, di una carriera, la famiglia, le cose insomma di uomini che non hanno sposato solo una causa, che allo sport domandano ciò che lo sport stesso può offrire ma non un professionismo eterno. Un uomo completo Jody Scheckter. Un ex-campione del mondo di Formula 1 che ha saputo crearsi fama internazionale di businessman, restando lontano dall’ambiente non per snobismo ma per impegni che lo portano in giro per il mondo. Con l’automobilismo, però, il rapporto è stato forte anche dopo. Entrambi i fi gli di Scheckter, Thomas e Tobias, sono piloti e soprattutto per Thomas papà Jody si è adoperato per aiutarlo nella carriera. È una bella storia, quella del campione 1979: il suo rapporto con la Ferrari fu tra i migliori mai vissuti dalla Casa di Maranello con un pilota. Enzo Ferrari adorava Scheckter, lo trovava leale, onesto, schietto. Ci fu poi l’empatia assoluta con Gilles Villeneuve, diventato il suo più grande amico. Raramente si è vista una coppia così affi atata nella storia della Formula 1. L’amicizia era talmente forte che entrambi si aiutavano e Jody non ha mai celato la propria riconoscenza per i servizi ricevuti dal canadese nell’anno del titolo mondiale. Quando Gilles morì nel 1982, Scheckter si adoperò concretamente, ma stando in disparte e senza clamore, per aiutare la famiglia Villeneuve. È stato uno strano destino il suo: mal tollerato dai colleghi all’inizio, a poco a poco si è trasformato in un punto di riferimento per tutti. Persino nel settore della sicurezza, per la quale si è battuto da presidente della Gpda anche furiosamente, con quella lucidità intellettuale che gli va riconosciuta. Era contro le eccessive sofi sticazioni aerodinamiche, le “minigonne” , le piste pericolose. Proprio lui che aveva iniziato in Formula 1 creando disastri assortiti. Con Jody Scheckter si può dire che le corse hanno formato e portato alla maturazione l’uomo. Ancora oggi, se vi capita di incontrarlo, ascoltate Jody Scheckter: non è mai banale, è sempre acuto, lucido. E non guarda indietro, non rimpiange di aver abbandonato il campo troppo presto. Perché ha sempre saputo che la vita è fatta di tempi. Quello delle corse, nel 1980, per lui si era semplicemente concluso. Un uomo ricco dentro, Jody Scheckter da East London, Repubblica Sudafricana.