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Clay Regazzoni: Don Chisciotte

Clay Regazzoni: Don Chisciotte

20 mag 2010

Un talento sicuro ma mai consacrato

Gian Claudio divenne pilota della Ferrari ben prima della stagione 1970. Lo staff del Cavallino lo aveva tenuto d’occhio nelle sue esibizioni in Formula 3 e soprattutto in Formula 2, dove pur non vincendo appariva pilota di sicuro talento, anche alla luce del sesto posto conquistato nel 1968 alla Temporada argentina. Regazzoni diventa a tutti gli effetti un pilota di Maranello nel 1969: dovrebbe essere lui l’uomo su cui puntare per l’europeo di Formula 2. Ma la Dino, che l’anno precedente aveva ottenuto grandi vittorie sul fi nire della stagione con Brambilla e de Adamich alla Temporada, non è competitiva. Clay ritorna alla Tecno, della quale il ticinese è il miglior interprete. E nel 1970 esplode la «Regazzoni mania»: con Ignazio Giunti, l’altro giovane ingaggiato dalla Casa, divide inizialmente la seconda 312B per affi ancare nel mondiale Jacky Ickx, che ha gareggiato nelle prime corse dell’anno in solitaria. Giunti esordisce al Gp del Belgio e ottiene un 4° posto. Quindici giorni dopo tocca a Clay al Gp d’Olanda: anche a lui vanno tre punti iridati, ma il distacco che subisce da Ickx in prova è nettamente inferiore a quello subìto dal romano: meno di un secondo.
Torna al volante della 312B a Brands Hatch. In prova lo scarto da Ickx è di otto decimi, in gara taglia il traguardo ancora al quarto posto attaccato alla McLaren di Denny Hulme. A Hockenheim, la gara successiva, conquista la prima seconda fi la della carriera ma si ritira con il cambio rotto. In Austria fa ancora meglio: è secondo in prova, e conquista il primo podio della carriera, secondo in parata con il suo caposquadra belga. E arriva il 6 settembre 1970: Gran Premio d’Italia a Monza. Clay è terzo in qualifi ca davanti a Stewart, dietro a Rodriguez e al poleman Ickx. Ma vince clamorosamente la corsa, quattro anni dopo l’affermazione di Lodovico Scarfi otti. Da quel momento Gian Claudio detto Clay Regazzoni diventa un pilota «italiano» a tutti gli effetti. Il 1970 è il suo anno: nel breve volgere di poche settimane va sul secondo gradino del podio in Canada e in Messico, dove conquista la pole position, e vince il titolo europeo di Formula 2, l’unico della Tecno, dopo una spettacolare corsa a Hockenheim. Nel mondiale, nonostante le sole otto gare disputate, è terzo! Il 1971 dovrebbe incoronarlo: ma la Ferrari è fragile e Clay vince solo la Race of Champions di Brands Hatch, non valida per la serie. Nel 1972 ha un grave incidente a Nivelles che lo costringe a saltare due corse. Nel 1973 emigra in Inghilterra, sponda Brm. Ma ritorna nel 1974: nonostante la maggior velocità di Lauda è lui che sfi ora il campionato del mondo. Il titolo lo perde per un problema a un ammortizzatore, all’ultima corsa a Watkins Glen, a favore di Fittipaldi. In Ferrari Clay resterà fi no al 1976. Diventa lo scudiero perfetto di Niki Lauda. Poi proseguirà la propria carriera con altri: Ensign, Shadow, Williams, regalando a quest’ultima la prima vittoria, a Silverstone nel 1979. Ma la riconoscenza in F.1 non esiste: Frank Williams non lo confermerà preferendogli Reutemann, così Clay passa all’Ensign. Purtroppo a Long Beach, nel Gp Usa 1980, sulla sua monoposto al termine di un lungo rettofi lo cedono i freni. Clay si schianta contro un muretto di cemento. Per la violenta decelerazione si rompe le vertebre e resterà paralizzato alle gambe. Un incidente che pone termine all’avventura del pilota Regazzoni in Formula 1 ma non dell’uomo.

Un mastino che capiva le auto

La longevità agonistica di Clay Regazzoni indica che il ticinese sapeva non solo pilotare ma era anche dotato di un indubbio talento sul fronte della messa a punto. Comprendeva la meccanica perché era nato da una famiglia impegnata nel mondo delle quattro ruote. Suo padre possedeva un’avviata carrozzeria e fi n da piccolo Gian Claudio sapeva mettere le mani laddove servivano. Le conoscenze acquisite lo favorirono nella carriera. Come stile di guida Clay era aggressivo ma non scorretto. Non martoriava le vetture anche se nei primi anni passava per un pilota particolarmente duro nei duelli corpo a corpo. Non mollava mai, era un mastino. Prima di approdare nel mondiale e alla Ferrari era stato protagonista di spettacolari incidenti. A Monaco, durante il Gran Premio di Formula 3 del 1968 la sua Tecno si infi lò sotto il guard rail alla chicane. Nello stesso anno a Zandvoort, per la corsa dell’europeo di Formula 2, Clay venne coinvolto nell’incidente mortale dell’inglese Chris Lambert. Venne scagionato dai commissari sportivi ma il caso si trascinò per altri cinque anni con il padre del giovane inglese che intentò una causa, poi conclusasi con un nulla di fatto. Di sicuro Clay era un duro, uno che non cedeva un millimetro all’avversario. Il giorno della sua vittoria nel campionato europeo di Formula 2 a Hockenheim proprio all’ultimo giro si ritrovò la Bmw del rivale Quester all’interno all’ingresso del Motodrom. Non gli disse «prego si accomodi». La monoposto dell’austriaco decollò sulla Tecno per poi atterrare sulle quattro ruote. Vinse Quester ma Regazzoni conquistò il titolo. La sua durezza non rasentava mai la scorrettezza. Con gli anni, anche grazie all’esperienza delle vetture sport della Ferrari prima e dell’Alfa Romeo, Clay si trasformò in un perfetto tattico, sempre pronto a sfruttare le occasioni a proprio favore. La sua passione lo ha portato a sperimentare nuove avventure anche dopo l’esperienza ferrarista. Nel 1977 tentò la qualifi cazione alla 500 Miglia di Indianapolis al volante di una McLaren-Offenhauser del team Theodore di Teddy Yip ma ebbe un brutto incidente in prova. Essendo un pilota molto eclettico Clay ha corso all’epoca della Formula 1 sia con la Fiat X1/9 al Giro d’Italia automobilistico in coppia con il futuro presidente della Csai Gino Macaluso, sia con la Lola Formula 5000 negli Usa, con la De Tomaso Pantera Gruppo 4. Dopo l’incidente di Long Beach non ha mai lasciato l’attività: è salito su una Porsche Turbo nel 1996, ha preso parte più volte alla Parigi-Dakar, ha corso in kart, sulle vetture d’epoca, è diventato uno specialista dei grandi raid. Senza mai mollare come tutti i grandi uomini che nella vita sono stati anche piloti.

Ubriaco di vita più forte del dolore

Popolare e molto amato da chiunque: quando il 16 dicembre 2006 morì per incidente stradale dovuto a un probabile colpo di sonno in autostrada alle porte di Parma, Clay Regazzoni era ancora vivace, ancora un catalizzatore. Sempre disponibile, sempre molto autentico, lontanissimo da quella diplomazia affettata con la quale spesso i grandi personaggi travestono i propri pensieri, le proprie opinioni. Clay era un uomo che diceva «pane al pane e vino al vino» e per questa ragione a volte dava fastidio alle stanze del potere. Dopo il suo drammatico incidente di Long Beach divenne anche telecronista e non risparmiò frecciate e giudizi a chicchesia. In quel suo modo di esprimersi c’era grande onestà, assenza totale di politica. Si poteva essere in disaccordo con Clay ma il tutto si risolveva in modo schietto, senza perifrasi e senza rancori reciproci. Regazzoni era così come lo si vedeva, dote rarissima. Sempre pronto alla battuta, all’ironia, ad accorrere dagli amici. Cordiale, simpatico, divertente, andava al nocciolo della questione senza girarci attorno. Su questa qualità Clay Regazzoni aveva fondato la carriera di pilota e quella successiva.
La concretezza e la lucidità mentale gli avevano permesso di superare il trauma psicologico, oltre a quello fi sico, dell’incidente americano, di imporsi come persona di fronte a tutti. Nessuno si è mai permesso di considerarlo un caso pietoso. Ed è un merito che va ascritto all’uomo, coerente con se stesso. Ha affrontato tutto a «muso duro», ha anche cercato una disperata soluzione medica ai suoi problemi agli arti inferiori, arrivando persino a muovere qualche passo prima di ripiombare nell’immobilità. Ubriaco di vita, Clay ha donato vita a chi credeva che un handicap impedisse una normale quotidianità. Ha proseguito a correre, a restare nell’ambiente, ha insegnato, ha continuato a corteggiare le belle donne, lasciando dietro un fascino ineguagliabile. Di Regazzoni pilota si potrebbero raccontare milioni di storie divertenti, degli eventi dei quali è stato protagonista e attore principale anche. Per la Formula 1 il suo volto era un punto fermo indipendentemente dai risultati o dalle vetture che pilotava. Perché dall’alto della sua esperienza sapeva offrire le giuste indicazioni e non ci pensava un minuto a difendere chi si trovava in diffi coltà. Il «baffo che conquista» avrebbe potuto scrivere mille romanzi, avrebbe potuto servire da spunto per sceneggiature di fi lm. Uscendone sempre vincente, con il senso forte di chi alle ingiustizie reagisce mettendoci la faccia e non nascondendosi dietro agli altri.

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