Bastano due soli punti conquistati in un Gran Premio dell’anno precedente per diventare pilota uffi ciale della Ferrari? A rivedere la storia di Niki Lauda parrebbe di sì. Lauda si presentò a Maranello nel 1974. Inizialmente si pensò non potesse essere altro che la spalla di Clay Regazzoni, con il quale aveva condiviso l’esperienza con la Brm nel mondiale del 1973. Prima di allora Niki aveva vinto con le monoposto solo la seconda gara dell’europeo Formula 2 del 1972 a Oulton Park al volante della March 722. In Formula 1, dove aveva debuttato con una monoposto di Bicester nel Gran Premio di casa del 1971, bruciando la frizione al via, le sue prestazioni del 1972 erano state considerate mediocri. Sul fronte velocistico era andata molto meglio nel 1973 con la Brm, anche se la fragilità della vettura e una condotta di gara spesso troppo aggressiva, non gli avevano permesso di andare oltre il quinto posto al Gran Premio del Belgio. Eppure Lauda venne assunto in Ferrari, soffi ando di fatto il posto ad Arturo Merzario, il pilota italiano che aveva tentato l’anno prima di reggere un palazzo in fase di implosione. Nel 1973, infatti, la Ferrari aveva conquistato solo 12 punti nel mondiale, nessun podio, nemmeno quello più basso, ed aveva vissuto in modo traumatico il divorzio da Jacky Ickx. Assieme a Regazzoni, rientrato all’ovile dopo l’esperienza britannica, si decise di assumere il giovane austriaco. Forse, si pensava, sarebbe cresciuto. E qui, come spesso accade, le previsioni della storia che indicavano Lauda come Carneade vennero smentite: apparve subito chiaro che l’austriaco possedeva un talento superiore, differente da quello degli altri colleghi. La sua sensibilità meccanica gli permise in poco tempo di conquistare la stima e la simpatia di Mauro Forghieri, la sua lungimiranza tattica di «leggere» con straordinaria intelligenza le varie situazioni tattiche di corse e campionati, la sua spiccata leadership di oscurare quello che si riteneva fosse il suo caposquadra. In pochi mesi la Ferrari si ritrovò in alto. Questo accadde da subito, già nel 1974, e nel 1975 con una cavalcata di cinque successi Niki consegnò alla Ferrari un titolo mondiale che mancava da undici anni. Se non fosse stato per l’incidente del Nürburgring 1976 e per il «ritiro» storico del Gran Premio del Giappone della stessa stagione, con molta probabilità la carriera di Lauda in Ferrari avrebbe potuto contare su tre campionati del mondo in appena quattro stagioni di collaborazione con Maranello. Quasi un record. Alla pari di Michael Schumacher, Lauda è stato il pilota più «moderno» della propria generazione, una spanna sopra gli altri non tanto per la velocità istintiva quanto per il metodo con il quale operava, per la precisione delle sue sensazioni, per la capacità di intendere il ruolo professionale del pilota a trecentosessanta gradi, anche come bravura nelle relazioni commerciali. Con Lauda il campione diventa imprenditore di sé stesso, evolvendo e amplifi cando, la lezione impartita a tutti quanti qualche anno prima da Jackie Stewart.
Campione a credito: iniziò con un prestito
Per spiegare Lauda ci vorrebbe un libro intero. Il personaggio è complesso, il suo carattere unico nella storia della Formula 1 e della Ferrari. Il primo aspetto di Niki è certamente la sua testardaggine: per aprirsi la strada nel professionismo non ha lesinato nel prendere rischi economici. Su questi è riuscito persino a costruire una leggenda prima ancora di approdare alla Ferrari e di conseguenza al successo. Si presentò nelle corse come «povero» ma non lo era. Per niente. Chiese un prestito alla banca più importante austriaca, la Raiffeisen, che gli consentì di pagarsi il posto alla March in Formula 2 e in Formula 1. A garanzia mise sul tavolo la polizza vita che gli aveva sottoscritto il nonno paterno. Da allora il marchio dell’ente creditizio divenne noto in tutto il mondo e i ragazzini dell’epoca facevano a gara nel cercare la decals da incollare sul casco. Nel 1973 si pagò il posto in Brm con un contratto gara per gara fi no a raggiungere un accordo triennale per gli anni successivi che ruppe quando decise di seguire Regazzoni in Ferrari. Dagli inizi di Maranello ad oggi, Lauda è stato capace di creare un impero economico, culminato nella fondazione della Lauda Air, poi venduta nel momento più opportuno. Lo stesso senso dell’affare, mai fi ne a sé stesso ma frutto di un impulso, di un desiderio, di un personalità. Non si è mai assoggettato a nessuno. In Ferrari è rimasto fi no a quando, alla vigilia del 1977, non gli venne preferito come prima guida Carlos Reutemann. Quello smacco morale, dovuto ai fatti del Gp del Giappone dell’anno prima, gli diede la spinta per vincere il secondo titolo e lasciare la squadra a due corse dalla fi ne. Lauda è ed è stato un vincente nella vita: si è ritirato, è rientrato nel mondiale con la McLaren vincendo un altro campionato, ha sempre fatto il passo giusto nel momento più opportuno. Schietto, simpatico, protagonista di battute ironiche, affascinante, è un uomo che non si è mai arreso alle sfi de: il drammatico incidente del Ring 1976 avrebbe fi accato chiunque. Non Lauda: sofferente, irriconoscibile, quasi sfi gurato, ustionato in gran parte del volto, saltò solo due Gran Premi. Dal pomeriggio del 1 agosto alla mattina del 10 settembre, giorno delle prove libere del Gp d’Italia, erano trascorsi 41 giorni di sofferenze fi siche incredibili. Eppure Lauda salì in macchina e ottenne il quarto posto. Ciò che accadde al Fuji, con il suo ritiro storico alla fi ne del secondo giro mentre continuava a essere il favorito per la conquista del mondiale, venne spiegato «con il coraggio di avere paura». Lauda si assunse la responsabilità di fronte alla squadra per quel ritiro, non ebbe problemi a spiegare la propria scelta, a far comprendere che in quelle condizioni di asfalto un titolo non avrebbe mai potuto mettere a repentaglio la vita. Perché la morte Niki l’aveva vista, la conosceva.
Parole sporche e guida pulita
Ècon Niki Lauda che nasce la defi nizione «pilota computer». Chi la coniò inizialmente non la intendeva come complimento ma era stato lungimirante. Perché Niki ha aperto una strada, ha insegnato cosa signifi chi essere pilota a tutto tondo, non solo durante i Gran Premi. Il suo motto era sentire la vettura con il fondoschiena - Niki è stato un involontario anticipatore nello sdoganamento di alcune parolacce a causa di un italiano imperfetto - e con il fondoschiena le ha «sentite» tutte. Nella messa a punto era un autentico rompiscatole. Le sue discussioni con Mauro Forghieri sono rimaste leggendarie all’interno della Ferrari e non poteva essere altrimenti perché quando si mettono a confronto due personalità dal carattere così forte non ci sono alternative: o si detestano o si amano… discutendo in continuazione. Tra Lauda e il suo direttore tecnico l’amore è stato totale, colorito, acceso a volte proprio perché i due si confrontavano sullo stesso piano da posizioni differenti: pilota da una parte, ingegnere e progettista dall’altra. Grazie a questa chimica magica, speciale, la Ferrari seppe in un sol colpo ricreare un ciclo vincente che durò anche dopo Lauda, proprio per quell’onda lunga che i grandi campioni sanno lasciare alle spalle. La sensibilità e la capacità tattica di Lauda non devono, però, far passare in secondo piano le sue doti velocistiche. Niki è stato terribilmente veloce. Lo capirono tutti nello sfortunato Gran Premio di Monaco del 1974 nel quale costrinse all’errore Regazzoni, sancendo di fatto il cambio di gerarchie all’interno del team, e compiendo fi no al momento del ritiro una corsa a dir poco eccezionale. Ogni qual volta a Lauda sono state richieste le prestazioni assolute, ha risposto e non è un caso che il suo numero di pole position sia così importante a livello assoluto. I fatti del Gran Premio del Giappone del 1976 ne indicarono una sottile carenza sul bagnato. La storia, però, ha dimostrato che anche sull’asfalto viscido Lauda era molto forte. Quella fu una situazione contingente, giustifi cabile dall’aspetto psicologico del campione reduce dall’inferno del Nürburgring. Il senno di poi, con il titolo del 1984, ha smentito anche la fama negativa. Vedere correre Lauda è stata la fortuna di una generazione: pulitissimo, bello nell’impostare la traiettoria, macinava gli avversari con l’astuzia e appariva imprendibile se partiva al comando, un po’ alla maniera di Clark con l’intelligenza di Stewart. Un campione completo di quelli che nascono ogni vent’anni… se nascono.