Ecco come è diventato grande il fondatore della Red Bull, appena scomparso
A questo punto Mateschitz, se vuole sfondare, deve spendere fantastilioni in denaro per propagandare la lattina e la bevanda in tutto il mondo, sperando di ottenere i favori del pubblico, peraltro bizzoso e imprevedibile. No, sarebbe una battaglia persa in partenza. Neanche a parlarne. Per cogliere il successo ci vuole un’impresa disperata, basata su una filosofia folle quanto alternativa, il cosiddetto Buzz Marketing, ossia il ricorso a strategie aggressive non convenzionali, dirette a far sorgere interesse a aspettative su un nuovo brand al fine di farne aumentare la notorietà non dall’alto, ma dal basso. Già, ma come? Red Bull è uno stile di vita Mateschitz ha la sua geniale intuizione, che si sintetizza in uno slogan: "Noi non portiamo il prodotto ai clienti, portiamo i clienti al prodotto. Red Bull non è un drink, è uno stile di vita". E c’è un solo modo di dar seguito al proposito. Investendo sulla messa in opera di un gran numero di auto brandizzate per fare assaggiare la bevanda a tutti coloro in genere combattono più di frequente la stanchezza, ossia, credeteci o no, camionisti, sportivi e amanti delle discoteche. Così niente pubblicità mainstream per la Red Bull, agli inizi, ma tanto proselitismo orizzontale portato avanti da un piccolo e irriducibile esercito di selezionati e aggressivi promoter, i quali distribuiscono lattine fuori dalle discoteche, alle stazioni di servizio e agli eventi sportivi più disparati. C’è del metodo in questa filosofia, un modo di agire del tutto innovativo, che non si è mai visto all’opera, prima, su così vasta scala.
Il primo anno di vendite si chiude con 830 mila euro in rosso, ma a inizio Anni ’90 il trend improvvisamente s’inverte e il neonato brand sbanca prima in Austria e poi, a macchia d’olio, si diffonde ovunque. Il 1994 diventa l’anno della svolta. Le lattine varcano i confini dell’Austria, raggiungendo il mondo. E la strategia di penetrazione orizzontale continua a penetrare il mondo come una lama nel burro, all’insegna di un nuovo e decisivo step della filosofia di mercato e di vita propagandata da Didi: il no limit. E il mondo dello Sport, che era stato tra i terreni vergini della diffusione dal basso di Red Bull, diventa il target numero uno dell’azione di propaganda che ormai può affidarsi al reinvestimento degli utili creando non una semplice pubblicità ma, appunto, anche una filosofia di fondo. Red Bull diventa sinonimo di iniezione di energia non fine a se stessa, ma diretta preferibilmente al superamento dei limiti, meglio ancora alle sfide impossibili e alle attività sportive estreme.
Link copiato